L’ombra delle donne nella società italiana

Ieri a New York, il comitato della Cedaw, Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, adottata dall’Onu nel 1979 ha esaminato il VI rapporto sullo stato di attuazione della Convenzione, presentato nel 2009 dal Governo italiano. Nello stesso anno, si è costituita la Piattaforma italiana che ha riunito associazioni e singole donne impegnate contro la discriminazione di genere che ha redatto lo shadow report, il rapporto ombra, sull’accoglimento delle raccomandazioni che erano state fatte all’Italia nel 2005. La Cedaw è considerata il trattato internazionale più completo sui diritti delle donne, ma negli ultimi anni, in Italia i suoi principi trovano una debole applicazione.

Lo rivela il Rapporto ombra “30 anni Cedaw, lavori in corsa” presentato da Claudia Signoretti, Simona Lanzoni (Fondazione Pangea) e Barbara Spinelli (Giuristi democratici) che traccia un triste bilancio sulle politiche contro la discriminazione delle donne. E’ emerso che dal 2005 le donne non hanno migliorato la loro condizione. A parte qualche nota di merito come l’approvazione della legge sullo stalking, l’istituzione nelle scuole, della settimana contro la violenza di genere, e qualche altra estemporanea iniziativa priva di progettualità, ben poco la politica ha fatto per abbattere gli stereotipi, gli svantaggi o le discriminazioni nei confronti delle donne in Italia.

La svilente rappresentazione delle donne nelle immagini pubblicitarie e nelle trasmissioni televisive, la scarna rappresentanza e partecipazione delle donne nella vita politica, nei posti di responsabilità e di dirigenza delle aziende, i tagli al welfare, agli asili, sono solo alcuni dei punti dolenti criticati nel Rapporto Ombra, dai quali emerge il totale disinteresse per il Governo italiano a svolgere un ruolo politico efficace. Anzi viene rilevato un peggioramento della politica che discrimina le donne: come la legge che permette la firma delle dimissioni in bianco usata dalle aziende soprattutto contro le lavoratrici quando restano incinte. Fra i tanti segnali di arretramento anche il calo di interesse per il contrasto del fenomeno della tratta delle donne e della prostituzione coatta. Nessuna sensibilizzazione e informazione è stata più fatta a livello sociale sul fenomeno della schiavitù sessuale. Iniziative come quelle attuate o promesse da alcuni sindaci, (recentemente Alemanno a Roma), di perseguire le prostitute in strada, mettono a rischio le donne vittime della tratta di essere in una condizione di maggiore debolezza ed isolamento e ancora più controllabili dagli sfruttatori. L’interesse politico per la discriminazione delle donne immigrate rispetto ai loro connazionali uomini è quasi nullo.

Tra le leggi peggiori, la legge 40 sulla fecondazione assistita che dovrà essere modificata perché vìola la salute psicofisica delle donne, nella parte dove vieta l’impianto di più di tre embrioni, aprendo al calvario di un sopranumero di stimolazioni ovariche.

Tutte queste resistenze ad attuare le raccomandazioni della Cedaw alla fine rivelano che l’Italia è un Paese misogino, arretrato e bloccato in una sorta di involuzione del rapporto uomo-donna, dove nemmeno le donne vittime di violenza sessuale riescono a trovare pieno rispetto e giustizia. Non esiste ancora nell’ordinamento giuridico italiano una definizione corretta della violenza di genere, né tantomeno una raccolta di dati statistici nazionali sui femminicidi e il maltrattamento familiare alle donne. Dal 2004 lo Stato italiano (insieme alla Grecia!) è inadempiente nel garantire il risarcimento delle vittime di violenza di genere. Il Governo Prodi istituì un fondo di 56mila euro che non è stato più rifinanziato. Le vittime di violenza sessuale attendono ancora il risarcimento dallo Stato che nel frattempo è stato condannato dalla Corte di Giustizia europea. In compenso nel 2010 è stato istituito un fondo di solidarietà per le vittime dei reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive. La vita di una vittima di stupro per l’attuale Governo, evidentemente non ha lo stesso valore di quella di una vittima di tifo calcistico.

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